
anzi no
questa storia è dedicata a chi cambia spesso idea. anzi no...
questo racconto è tratto dal libro gli streghi

questo racconto è tratto dal libro canzoni sotto il banco
arriva il maggio dei libri...
victor garden
ce ne stavamo seduti come due passeri sulla panchina di quella sorta di parco che sta tra via verdi ed il vicoletto dove abita alice, sfiorati dal primo sole primaverile... quello che alla mamma le fa sempre dire: «vai a prendere un po’ d’aria che sei pallido come una caciotta.»
in realtà ero io che me ne stavo seduto, tranquillo e un po’ rimbambito, come è giusto che sia alle due del pomeriggio. poi alice si è autoinvitata accanto a me, quasi senza salutare e, dandomi una pacca sulla spalla per sottolineare la sua presenza, ha infilato le sue narici nel libro che avevo tra le mani.
«cosa leggiamo di bello?»
generalmente un libro lo si legge soli soletti, possibilmente in santa pace. oddio, nessuna legge vieta una lettura a due, o anche più persone, ma io ero già arrivato a pagina centosette e me ne mancavano cinquantatré per finire. cosa potevo fare? ricominciare per il gusto di una letta in compagnia?
per alice, devo essere sincero, avrei ricominciato anche cento volte e se me lo avesse chiesto avrei letto il libro anche dalla fine all’inizio, tanto, con lei vicino, non avrei capito nulla comunque.
chiusi quindi il libro, appoggiandolo sulla mia destra, perché il palmo delle mie mani stava cominciando a sudare e ben presto avrei sciolto la copertina. poi mi sforzai di tenere le mie emozioni ben dentro la maglietta, cosa che, generalmente, causa un fastidiosissimo blocco generale di qualsiasi facoltà comunicativa, alterando il sistema di socializzazione e causando gaffes inenarrabili, impossibili da evitare.
ecco, a me alice faceva più o meno questo effetto, ed i casi erano due: o era una strega sadica e si divertiva a sentirmi balbettare cavolate impensabili, oppure questo mio modo di essere così tra le nuvole un po’ le piaceva. io ho sempre preso per buona la seconda ipotesi, e comunque mi rifiuto di pensare che lei mi credesse un tipo normale, perché se così fosse ci rimarrei troppo male.
«i racconti di central park» le risposi quasi subito, riprendendo il libro dalla mia destra per infilarlo tra le sue dita.
chi lo ha letto sa che questo, tra tutte le opere di victor garden, è senz’altro il libro cult, quello che ogni comodino dovrebbe aver ospitato per almeno una notte. con alice avevo appena fatto una gran bella figura, perché a volte le persone le capiamo da ciò che leggono.
a me victor garden piaceva davvero un sacco, con quel suo umorismo sottile ed il buonumore di fondo che alleggerisce anche le situazioni più tese. e poi mi piaceva il fatto che fosse lui stesso il protagonista dei suoi racconti: ogni volta una persona diversa, eppure sempre la stessa persona. anche quando, in riverside queen il protagonista è in realtà una donna, la chiama garden di nome e victor di cognome. semplicemente geniale.
victor garden, lo scrittore ed il personaggio, era il mio eroe e spesso mi ritrovavo incantato a specchiarmi nelle sue azioni ed atteggiamenti, e mi piaceva, ma mi piace ancora, pensare di essere molto simile a lui.
in fondo molte cose in comune le avevamo davvero. a parte l’aspetto fisico, perché di v.g. non esistono fotografie, gli assomigliavo davvero. anzi, visto che non ci sono prove contrarie, credo proprio che fossimo simili anche fisicamente. lui, è vero, aveva qualche anno di più, ma quella era l’unica differenza evidente.
però il carattere era proprio come il mio: tendenzialmente solitario, con qualche immersione nella folla ed un gruzzolo di amici sparsi qua e là che riempiono ad intermittenza le giornate. l’amore per le battute, anche quelle molto stupide, ma comunque divertenti; la passione per new york, soprattutto quella in bianco e nero; le scarpe da tennis...
non credo esista una caratteristica di victor garden che non possa calzarmi a pennello. un po’ per emulazione, ma molto, io credo, perché sono davvero così.
fu così una mossa di abile strategia infilare il libro tra i polpastrelli di alice e soprattutto invitarla a tenerselo per un po’ per leggerlo. io lo avrei finito più in là.
sarò stato anche goffo, e probabilmente avrò balbettato e fatto delle espressioni assurde, però quell’invito aveva tutte le caratteristiche della genialità.
quale miglior modo, infatti, di raccontare tutto ad alice su di me, che farle leggere ogni cosa sfruttando il mio alter ego letterario?
lei mi promise di leggerlo la sera stessa e la sua espressione era sufficientemente incuriosita per non dubitarne.
per qualche giorno non lessi nulla. di libri in lista d’attesa ne avevo tre o quattro, ma la vista di una pagina scritta, anziché coinvolgermi come di solito, rimbalzava i miei pensieri automaticamente ai racconti di central park ed ai pensieri di alice su di me. cioè, su victor garden, quindi su di me.
la domenica, verso le quattro, tornai a ronzare dalle parti del parco di via verdi. non era central park, ma non importava.
da dietro, con la sua solita manata sulla spalla, ecco alice ed il suo sorriso. in mano aveva il libro che le avevo prestato e con allegria me lo restituì.
inutile, da parte mia, dire alcunché, perché tanto mi sarebbe uscito solo un suono incomprensibile. per fortuna parlò lei:
«tosto! vien voglia di leggerne altri di libri così.»
a me lo diceva? che di v.g. sono il fan numero uno?! poi continuò:
«e che figo quel victor!»
già già già...
«solo che... di tipi così li trovi solo nei libri... e nei film. mai che ne trovi uno in carne ed ossa!»
se prima ero muto per l’emozione, adesso continuavo a tacere, ma perché proprio non sapevo cosa dire. strizzai le labbra in una specie di sorriso ed incassai in silenzio.