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questo racconto è tratto dal libro canzoni sotto il banco

una volta all’anno arriva il primo giorno di scuola.

la pecora nera

la maestra entrò in classe – buongiorno, signora maestra! – posò la borsa sulla cattedra, posò la matita rossa e la matita blu accanto alla borsa, aprì il registro, poi alzò lo sguardo e diede una rapida occhiata in giro, alla ricerca di qualche assente; sorrise ai bambini in prima fila, poi a quelli in seconda fila, infine anche a quelli in terza fila, che era pure l’ultima, dove generalmente siedono i ragazzi più alti o quelli un po’ vivaci, ma bisogna fare attenzione a non confondere gli uni con gli altri. che poi a volte è vivace anche chi siede in prima fila, solo che si è un po’ troppo sotto controllo per dare sfogo alla propria vivacità e bisogna aspettare l’intervallo.

la maestra, quindi, entrò in classe – buongiorno, signora maestra! – fece tutte quelle cose lì, quindi chiese, con voce squillante e tono deciso:

«chi tra voi è la pecora nera della classe?!»

ci fu un attimo di comprensibile imbarazzo. i bambini si guardarono tra di loro muovendo solo gli occhi, perché girare tutta la testa poteva apparire come un’ammissione... nessuno fiatò e qualcuno trattenne il respiro per fiatare ancor meno. a una domanda così, quasi tutti avrebbero preferito una verifica sui verbi o un’interrogazione alla lavagna, ma la maestra no. attese mezzo minuto, che parve durare più di mezz’ora, poi fece finta di nulla, si sedette al suo posto e cominciò la lezione.

anzi no.

«ogni classe ha la sua bella pecora nera» borbottò, ma non era chiaro se stesse spiegando di storia o di scienze o se stesse semplicemente raccontando qualcosa per riscaldare le corde vocali.

«ogni classe – continuò – ogni squadra di pallone, ogni gruppo di amici, pure le orchestre sinfoniche e le famiglie numerose hanno la loro pecora nera, altrimenti non sarebbero classi, squadre, gruppi, orchestre e famiglie.» lo disse seriamente, scandendo bene le sillabe, come capita nei dettati o quando non si vuole essere fraintesi, tanto che un paio di ragazzi aprirono il diario e presero appunti.

la lezione cominciò e nell’ora di scienze la maestra raccontò che un tempo si pensava che la terra fosse al centro di ogni cosa; intorno alla terra girava la luna, un po’ piena, un po’ no; intorno alla terra girava il sole, davanti di giorno, didietro di notte; intorno alla terra giravano i pianeti, da marte a saturno; e le stelle lassù se ne stavano ferme tutt’intorno alla terra. finché non arrivò la solita pecora nera, che stupì tutti svelando che è il sole a starsene nel centro, con la terra a girargli intorno, davanti di giorno, didietro di notte; che tutti i pianeti ruotavano intorno al sole, da giove a mercurio, e le stelle ferme lassù. se proprio si voleva qualcosa che girasse intorno alla terra, c’era sempre la luna, un po’ piena, un po’ no. lo spiegò disegnando il sistema solare alla lavagna, che tutti i ragazzi copiarono sul quaderno.

nell’ora di storia la maestra raccontò che qualche secolo fa, per andare dall’europa fino in india si viaggiava verso est, dove il sole sorge ogni mattino, perché l’india è a est, nessun dubbio: era indicato con la rosa dei venti in tutte le mappe e tutti gli atlanti. si viaggiava a bordo dei velieri o in sella al cavallo, comunque verso oriente, perché andar per di qua, quando tutti andavano per di là non pareva molto opportuno. finché non arrivò la solita pecora nera, con tre caravelle una in fila all’altra, che un mattino salpò verso occidente, dove il sole tramonta ogni sera. andava in india anche lui, o almeno così aveva assicurato alla regina, tuttavia l’india continuava a essere a est e lui veleggiava verso ovest, che è tutt’altro che a est. veleggiò fino ad arrivare in un’india un po’ diversa, che oggi si chiama america per tutti, ma con la terra rotonda e la luna in cielo, un po’ piena e un po’ no, quell’idea non fu poi così strampalata. lo spiegò tenendo in mano un bel mappamondo e facendolo pure girare, come gira la terra.

nell’ora di geografia la maestra parlò della torre di pisa, che come facesse a stare in piedi, nessuno lo sapeva, pendente com’era, eppure era lì, più bella e famosa che mai, pecora nera tra tutte le torri del mondo, da babele a parigi.

e l’intervallo?!

durante l’intervallo ognuno fece un po’ quel che voleva: qualcuno sgranocchiò un panino al prosciutto, qualcun altro sbucciò un’arancia; quasi tutti fecero pipì e chi non la fece si vede che non gli scappava. nessuno pensò più alla terra intorno al sole, all’oriente, all’occidente o alla torre di pisa, finché l’intervallo finì e la maestra tornò alla cattedra, con la matita rossa e la matita blu sempre accanto alla borsa.

«allora – domandò con voce pacata – chi tra voi è la pecora nera della classe?»

ormai tutti lo sapevano, che ogni classe ha la sua bella pecora nera, come ce n’è una in ogni squadra di pallone, in ogni gruppo di amici, persino in un’orchestra sinfonica e in tutte le famiglie numerose. tutti lo sapevano, quindi si guardarono tra di loro per vedere chi avesse il coraggio di alzare la mano, finché d’un tratto, quasi per magia, ecco che i bambini in prima fila alzarono il braccio contemporaneamente, che se fosse stata una gara sarebbero arrivati primi a pari merito. e con loro avrebbero vinto anche i ragazzi in seconda fila, pure loro con la mano lassù. e ovviamente anche in terza fila, sia quelli alti, sia quelli vivaci.

con tutti i bambini con la mano alzata, la maestra sorrise.

«non è così, che funziona – borbottò – di pecora nera ce n’è una soltanto, altrimenti come si fa a distinguerla dalle altre?»

uno dopo l’altro i bambini abbassarono la mano. peccato, perché ci stavano prendendo gusto a essere la pecora nera della classe. vorrà dire che sarebbero stati la pecora nera della squadra di pallone, o del gruppo di amici, dell’orchestra sinfonica o della famiglia numerosa. a scuola magari avrebbero fatto a turno e quel giorno toccò al mio amico giangiuseppe, oppure ognuno sarebbe stato pecora nera in una materia diversa, chi lo sa.

la maestra continuò la sua lezione, raccontando di un ragazzino che suonava il violino e andava in giro spettinato e con i calzini diversi uno dall’altro, che a scuola venne addirittura bocciato... ecco, ai bambini in prima, seconda e terza fila, l’idea di venire bocciati non pareva poi così buona e ognuno controllò il colore e l’abbinamento dei propri calzini, tirando un sospiro di sollievo.

quando la campanella suonò, la maestra chiuse il registro, ripose la matita blu e la matita rossa nella borsa, si alzò dalla cattedra, salutò i ragazzi con un sorriso – arrivederci, signora maestra! – e se ne uscì. se un giorno uno dei suoi alunni fosse diventato la pecora nera della classe, probabilmente lei lo avrebbe promosso.

speriamo!

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