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questo racconto è tratto dal libro ventimila leghe sopra i cieli

ci fu un periodo, nella storia dell’umanità, in cui non esistevano le caffettiere. forse...

la costellazione della caffettiera

il giovane babilonio era un ragazzo vispo e arzillo, attento e attivo, curioso e incuriosito da ogni cosa. che se ne stesse lungo le rive del tigri o dell’eufrate, che fosse mattina presto o sera tardi, che così o che cosà, i suoi pensieri si incrociavano veloci, come le trame e gli orditi di una tela. e di notte, anziché coricarsi tranquillo e lasciarsi cullare da un sogno, saliva sul tetto a guardare il cielo lassù, che si accendeva nel buio, mentre laggiù ogni altra cosa era spenta.

del resto, chiunque abbia mai aperto un libro di storia lo sa, che i babilonesi se ne stavano tutti con il naso all’insù, soprattutto di notte, con il cielo che si faceva nero nero, con la luna che sorgeva di qua e tramontava di là, con le stelle che si accendevano una dopo l’altra in un firmamento tale, che chi per distrazione non se ne stava come gli altri con il naso all’insù si perdeva uno spettacolo da mozzare il fiato.

babilonio era babilonese di nome e di fatto e non sarebbe stato certo lui a lasciarsi distrarre da qualsiasi altra cosa, anche se – curioso com’era – in realtà lo avrebbe fatto volentieri. invece sfruttava ogni sera le ultime luci del tramonto per non inciampare nei gradini e, una volta sul giardino pensile, si accomodava tra fiori di loto, palme e papiri.

il gioco preferito di tutti era di unire con delle linee immaginarie una stella con l’altra e disegnare il cielo con forme fantastiche e fantasiose.

«vedo il grande carro!» esclamava qualcuno, credendo forse di stupire il mondo, ma allora come ora il grande carro era il più facile da individuare e l’esclamazione passò inosservata.

«vedo un toro!» esclamava qualcun altro e a babilonio scendeva un brivido lungo la schiena. lo vedeva anche lui, quel toro, e pur sapendo che era un toro fatto di stelle, preferiva non disturbarlo, che non si sa mai...

«vedo una lucertola!» e questa volta babilonio non ebbe paura di guardarla.

«vedo un capricorno!» e le corna lunghissime brillarono chiare nel buio, come se le stelle che le tracciavano si accendessero ancora di più.

«vedo un pavone!»

«vedo una bilancia!»

«vedo due gemelli!»

ognuno vedeva qualcosa e il gioco era più divertente che mai anche per babilonio, che presto o tardi l’avrebbe vista lui, una costellazione, prima di tutti gli altri.

«vedo una caffettiera! – esclamò infatti d’un tratto, strillando di gioia, con il cuore che pareva scoppiargli nel petto – la vedo, la vedo!»

a quel punto, secondo tradizione tutti avrebbero dovuto vedere la stessa cosa, esultando con lui per la scoperta, stringendogli la mano e dandogli una forte pacca sulle spalle, un po’ per congratularsi, un po’ per invidia. invece quel che si sentì fu solo un sommesso borbottio e nulla più.

«ma quello è orione... – brontolò qualcuno – non vedi lo scudo? non vedi la cintura?»

«la cintura di orione...» sottolineò qualcun altro. e il borbottio cessò.

«io continuo a vedere una caffettiera.» insistette babilonio, che finalmente era arrivato per primo e certo non voleva saperne di rinunciare alla scoperta. ma al mattino, ancor prima dell’alba, fu preso dalle guardie e condotto da re nabuccodonosor.

curioso com’era, a babilonio non dispiaceva l’idea di scoprire finalmente se anche il sovrano aveva il naso all’insù, né quella di fare colazione con lui.

«il problema non è tanto che tu veda una caffettiera dove tutti vedono orione – lo redarguì il re – ma il fatto che nessuno sappia cosa sia, questa tale caffettiera...»

«nessuno, – continuò – nemmeno io.»

«nessuno, – concluse – nessuno nessuno.»

un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la soggezione, un po’ perché effettivamente nemmeno lui ne aveva mai vista una, babilonio non riuscì a giustificare la sua scoperta nemmeno con un ma o con un però, quindi venne cacciato dal regno e da allora di lui e della sua curiosità vispa e arzilla non si seppe più nulla.

finché, qualche millennio più in là, non arrivò nonno babilonio, che si chiamava babilonio perché il bisnonno era amante della storia, particolarmente affascinato dai babilonesi, tanto che sul terrazzo di casa aveva costruito un giardino pensile degno di re nabuccodonosor.

era un vecchietto vispo e arzillo, ancorché più brontolone che no, ancora curioso e incuriosito da ogni cosa. che se ne stesse con la nonna sulla panchina del parco o al bar con gli amici, che fosse mattina presto o sera tardi, che così e cosà, i suoi pensieri si incrociavano lenti, come le trame e gli orditi di una tela, con solo qualche nodo e qualche inciampo in più di quando era giovane.

una sera nonno babilonio si era trattenuto fino a tardi nel giardino, tanto che a un certo punto era calata la notte e non si vedeva più nulla in giro, rischiando di inciampare, di stramazzare sul sentiero e tanti saluti. in realtà si era proprio addormentato quando il sole era ancora alto nel cielo e mentre russava era arrivato il buio, ma questo non è bello dirlo in giro.

si guardò a destra e sinistra e tutto era nero; si guardò davanti e dietro e tutto era nero; si guardò di qua e di là e tutto era nero. poi alzò il naso e lo sguardo all’insù, come un babilonese di una volta, e anche il cielo era nero. così nero, che una dopo l’altra le stelle si accendevano in un firmamento tale, che se non si fosse addormentato nel pomeriggio, si sarebbe ora perso uno spettacolo da mozzare il fiato.

c’era il carro maggiore, c’era la costellazione del toro e quella della lucertola; c’era la bilancia e c’erano i gemelli; c’era il pavone e c’era il capricorno.

«ma quella è una caffettiera!» esclamò d’un tratto, brontolando. e la costellazione di orione appariva davanti ai suoi occhi proprio come una caffettiera, di quelle che ce n’è una in tutte le cucine. l’emozione fu tale che nonno babilonio rischiò di stramazzare per terra, ma questa volta il buio non c’entrava nulla. la costellazione della caffettiera era lì, più bella che mai, e nessun re di nessun impero avrebbe potuto sostenere il contrario.

«è pronto il caffè!» strillò la nonna dalla cucina.

e quella sera sarebbe stato un caffè più buono del solito.

© andrea valente
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