
questa storia è dedicata a chi cambia spesso idea. anzi no...
racconto ai piccoli il mondo dei grandi
ai grandi il mondo dei piccoli
racconto ai piccoli il mondo dei grandi
ai grandi il mondo dei piccoli

questo racconto è tratto dal libro la foresta che cresce
era il 14 di giugno del 1800 tondo tondo e tra i rami filtrava qualche raggio di luna
l'albero del generale
piemonte orientale, 14 giugno 1800. il generale francese napoleone bonaparte aveva da poco varcato le alpi, come aveva già fatto annibale duemila anni prima, con l’accortezza di scegliere per sé un mulo anziché un elefante: animale forse meno comodo e certamente poco maestoso, tuttavia assai più adatto ai sentieri
tortuosi e scoscesi di alta montagna.
e con altrettanta accortezza si sarebbe poi fatto ritrarre in un quadro, fieramente a cavallo di un bianco destriero, per l’ammirazione del popolo e dei posteri e per la gioia degli amanti dell’arte.
da questa parte dei monti, francesi e austriaci si disputavano da un po’ il dominio sulle città, da venezia a milano, da mantova a genova; era uno di quei momenti in cui si vede transitare la Storia, quella con la esse maiuscola, anche nei villaggi e nei paesi più sperduti.
per vari giorni aveva piovuto sulle pianure lombarde e piemontesi e i campi e le risaie erano diventati dei grandi acquitrini, dove era difficile muoversi a piedi senza finire impantanati, figurarsi condurre carri e trasportare cannoni… ma al mattino di quel sabato 14 giugno dell’anno milleottocento tondo tondo, un raggio di sole squarciò le nubi e il cielo si aprì, mostrandosi d’un azzurro intenso sopra la vicina città di alessandria e riflettendo la luce nelle acque dei fiumi tanaro e bormida.
quale miglior occasione per dare il via alla battaglia?!
con la sciabola brandita nell’aria, la voce squillante del generale urlò «all’attacco!», senza troppo badare che gli austriaci di là del fiume fossero in trentamila e i suoi uomini poco più della metà, né dei loro cento cannoni contro i suoi soli quindici.
«all’attacco!» strillò ancora, e l’inizio della battaglia di marengo fu anche l’inizio di un’importante pagina da aggiungere ai libri di storia.
lungo la strada, un elegante filare di platani indicava la direzione dall’ovest all’est: da torino a parma, per chi viaggiava lontano, da tortona ad alessandria, per chi restava vicino. tra questi uno in particolare pareva più grande e più forte, come se anche le piante sentissero il bisogno di avere un loro condottiero. era l’ideale, come punto di riferimento.
la lotta infuriava tra colpi di moschetto e tocchi di spada, bordate di cannone e proiettili di pistola, e il platano era lì, più vicino o più lontano, a seconda se si riuscisse ad avanzare le posizioni o fosse invece il caso di arretrare le linee.
cavalieri, fanti e artiglieri si sfidavano corpo a corpo nei fossi, dietro ai muretti e ovunque si trattasse di portare il proprio apporto alla vittoria. le uniformi bianche degli austriaci e quelle blu dei francesi coloravano la campagna, come fanno oggi, sull’erba, quelle delle squadre di pallone.
e il platano era lì, un po’ arbitro, un po’ spettatore.
sul far della sera, con gli austriaci assediati e i francesi raggiunti dai rinforzi, fu proprio l’enorme sagoma delle sue foglie e dei suoi rami a celare fino all’ultimo l’attacco definitivo, quando da dietro al grosso tronco i soldati blu sbucarono come scoiattoli ed ebbero la meglio contro i bianchi, ormai in fuga sulle colline.
e la battaglia cessò.
con il sole ormai tramontato dietro le cime lontane, sulla francia e oltre, il frastuono delle armi finalmente taceva e oltre diecimila corpi di soldati giacevano nel fango. la pagina del libro di storia era stata girata e il generale napoleone bonaparte poté scendere da cavallo – poco importa se fosse in realtà un bianco destriero o un mulo – e guardare tutt’intorno la terra conquistata.
si accomodò sotto il platano, con l’acqua del fiume a scorrergli accanto e la città poco lontana, dove l’indomani sarebbe entrato trionfante. alzò lo sguardo ai rami e alle foglie, attraverso le quali passava appena la luce di una luna quasi piena, e pensò che un luogo più protetto e accogliente non lo poteva immaginare.
stanco, ma soddisfatto, lasciò che i suoi soldati prendessero sonno e che la notte portasse anche a lui il meritato riposo.