
questa storia è dedicata a chi cambia spesso idea. anzi no...
racconto ai piccoli il mondo dei grandi
ai grandi il mondo dei piccoli
racconto ai piccoli il mondo dei grandi
ai grandi il mondo dei piccoli

correva l’anno 1785 e il 6 di luglio gli stati uniti scelsero il dollaro come moneta.
per un dollaro in più
il giovane isaac si trovava un pomeriggio a pisolare beatamente nel fresco del frutteto, con la schiena poggiata lungo il tronco di un melo e le gambe allungate tra i fili dell’erba, per lo sfrizzolo di qualche ardita formica a scalare il ginocchio o la suola dello stivale. dove avesse trovato un frutteto, disperso in inghilterra, questo non si sa, ma sono tante le cose che non sappiamo al mondo e viviamo bene lo stesso.
il giovane isaac – dicevo – pisolava placido e assorto in qualche sogno, quando da un ramo lassù un pomo truffaldino pensò fosse l’ora di prendere il volo, neanche fosse un passerotto. dapprima dondolò un po’ di qua e un po’ di là, per prendere le misure senza dare troppo nell’occhio, poi si lasciò andare nell’aria, precipitando però in verticale e colpendo in piena fronte l’appennichellato, che si ridestò di sobbalzo. fosse successo a me sarei rimasto per tre giorni di cattivo umore.
isaac, invece, rimessosi in piedi all’istante e verificata l’integrità dei pantaloni da piega alcuna, si chinò con fare intrigato e incuriosito verso il frutto caduto, rimbalzato poi quattro passi più in là. lo avvicinò al naso per annusarne il profumo, poi lo avvicinò agli occhi per osservarne l’ammaccatura, quindi lo avvicinò alla bocca per addentarne il gusto, invece no.
«idea!» urlò, entusiasta, dentro di sé. poi corse in casa, prese carta e matita e scrisse in fretta un appunto, che le idee come vengono se ne vanno ed è sempre il caso di fissarle in qualche modo prima di dimenticarsi ogni cosa.
«porto la mela al mercato – pensava e scriveva – la vendo a un passante e mi compro due arance.»
«poi vendo le arance – meditava – oppure le spremo e vendo la bevanda e con il ricavato mi compro un’anguria.»
«l’anguria la faccio a fette, – escogitava – le vendo una ad una e mi compro un pollo.»
«aspetto che il pollo sforni il suo uovo, poi uno al dì lo vendo alle mamme per i loro pargoli, quindi mi compro un ombrello. quando piove noleggio l’ombrello agli sprovveduti che non abbiano il loro e con l’incasso mi compro...»
oh, isaac, e io che pensavo tu avessi intuito la forza di gravità...
«e mi compro una sega, – continuava a pensare e a scrivere – torno al frutteto dal melo farlocco e beffardo e lo taglio di netto alla base, tié!»
«raccolgo la legna – continuava a meditare – e vado alla cartiera, per farne fare dei grossi fogli di carta.»
«già che ci sono ci faccio un disegno – continuava ad escogitare – e vendo pure quello e con quei soldi d’oro e d’argento mi compro dell’altra carta. tanta altra carta, che un mio disegno lo vendo bene senz’altro a un collezionista o a un museo; allora compro pure l’inchiostro e una pressa per la stampa, che non ne fanno più, di presse belle così.»
«poi mi metto lì e stampo una banconota da un dollaro. o da una sterlina, come piace agli inglesi, ma un dollaro mi stuzzica di più. la stampo e la metto ad asciugare, quindi la rifilo in forma rettangolare che ci stia comoda nel mio portafogli e con quella ci compro ciò che mi pare: una mela, se mi va, o due arance, una fetta di anguria o un uovo al dì.»
furbacchione di un isaac, ne sapevi una più del diavolo, tu, altro che attrazione gravitazionale. mi pari molto più attratto dalla ricchezza e dai talleroni, che dal centro della terra!
però, se qui di gravità vogliamo parlare, sappi che mettersi a stampar banconote nel sottoscala non è cosa bella da farsi, anzi, è grave, gravissima! molto più grave di una mela che cada sulla zucca, poi non dire che non t’avevo avvisato.
a questo pensiero isaac si fece serio, ripose in un cantuccio la sua bella pressa di quel dì, accese il camino con una banconota appena azzeccata, quindi afferrò un pomo dalla fruttiera con tre polpastrelli della mano sinistra e con un paio di quelli della destra prese una penna d’oca, la intinse nell’inchiostro e scrisse sulla sua carta una effe, una gì e una emme e non chiedermi cosa volesse dire.
però quell’idea lo arricchì, altroché, più della mela al mercato e più della banconota nel sottoscala.