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è il 21 di aprile il natale di roma. auguri!

un po' qua e un po' là

vista l’aria frizzante della primavera, romolo si era fatto una passeggiata in cima al colle palatino.

quando arrivò, posizionò un tavolo proprio nel centro della radura. sopra il tavolo mise una sedia e sulla sedia uno sgabello quindi, barcollando un po’, si arrampicò fino in cima e di lassù si godette il panorama. il fiume tevere scorreva placido costeggiando i sette colli; verso est si vedeva fino al mare di fregene, verso ovest i castelli, le colline di tivoli e i mondi dell’appennino. il cielo sereno e il canto dei fringuelli facevano il resto.

quale miglior luogo per fondare città? – penserai tu.

«quale miglior luogo per fondare una città?» pensò anche lui, che non si fece pregare e, senza perdersi in chiacchiere chiamò a sé operai e urbanisti, stradini e muratori, architetti e ingegneri, un oste, un vinaio, un suonatore di lira, un giornalista e quattro anziani, che fece accomodare su una panchina per sbirciare e commentare i lavori.

dopo aver assegnato a ognuno il proprio compito, offrì a tutti un golosissimo maritozzo con la panna, quindi si sgranchì per bene le tonsille:

«piazza navona mettetela laggiù – cominciò a strillare – e chiudetela bene sui lati, che poi la riempiamo d’acqua, altrimenti cosa la chiamiamo navona a fare?!»

«il circo massimo invece dall’altra parte – si girò – lungo, largo, capiente, che ho in mente di organizzare un paio di concerti memorabili.»

«le terme di caracalla di là – indicò – che stasera ci facciamo un tuffo e due massaggi.»

e a ogni ordine corrispondeva l’apertura di un cantiere, con le gru, le carriole, le pale, i rastrelli, i mattoni e tutte quelle cose che servono per costruire una città.

«a villa borghese piantate tanti alberi – continuava a strillare romolo – che l’estate è alle porte e un po’ d’ombra sarà di refrigerio per tutto l’impero.»

«via condotti allargatela un po’ – suggeriva – che devono passarci le signore bene per i loro acquisti e i loro capricci.»

«mi raccomando le osterie di trastevere – borbottava – e prenotatemi un tavolo per la cena.»

il cuoco accese i fornelli e sfoderò una batteria di pentole da fare invidia alle zie e alle nonne, con quel profumo di pasta alla carbonara, che presto riempì l’aria, tanto che a metà pomeriggio fu organizzata una merenda per tutti, con porchetta di ariccia e vino di frascati.

finita la pausa, romolo tornò sul suo sgabello, sulla sedia, sul tavolo in cima al colle palatino e, con la medesima energia che aveva al mattino, si rimise a disporre questo e quello.

«campo dei fiori di qua...»

«il foro italico di là, per una partita a tennis tra amici...»

«il campidoglio lassù...»

«il colosseo laggiù...»

«e lasciate dello spazio per la città del vaticano – borbottò – altrimenti quando viene il papa non sappiamo dove metterlo...»

«il testaccio così...»

«centocelle cosà...»

«ogni tanto un ponte sul fiume, altrimenti mi bagno i piedi...»

«l’aeroporto di fiumicino nella pianura verso il mare...»

«e non dimenticate cinecittà, che al cinema ci vado volentieri...»

al tramonto si lavorava ancora senza sosta, ma già la città di romolo aveva preso una forma ben definita non tanto diversa da quella di oggi, a parte il traffico che probabilmente era meno intenso e si trovava parcheggio anche nell’ora di punta.

«capo, capo... – accorse d’un tratto un operaio delle ferrovie – siamo un po’ in ritardo con la stazione termini...» e romolo sospirò rassegnato.

allo scoccare della mezzanotte la luna era alta nel cielo nero e stellato. uno dopo l’altro operai e urbanisti, stradini e muratori, architetti e ingegneri, l’oste, il vinaio, e suonatore di lira, tornarono sul palatino, dove posarono i propri attrezzi e comunicarono la chiusura dei lavori. il giornalista corse a scrivere ogni cosa, sperando di non dimenticare alcunché. la cronaca della fondazione della città avrebbe meritato la prima pagina di qualsiasi giornale.

l’oste servì la cena, il vinaio versò da bere e il suonatore allietò con due canzoni in dialetto romanesco. i quattro anziani tolsero la sedia e lo sgabello dal tavolo, si accomodarono e si sfidarono a tressette.

soddisfatto, romolo s’accomodò sotto una quercia.

«un giorno fonderò anche new york – sognò – poi parigi, sydney e pechino...» ma si addormentò prima di riuscire a scriversi l’appunto e al mattino, vedendo quella magnifica città tutt’intorno, pensò che da quel giorno non sarebbe mai andato più in là del grande raccordo anulare.

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